Nella società contemporanea, nessuno possiede la quantità di informazioni o di competenze sufficiente per compiere tutte le scelte necessarie a sopravvivere. Consciamente o inconsciamente, ogni nostra scelta si basa sulla fiducia; dal passaggio ad un incrocio con il semaforo verde, all’acquisto della medicina che ci ha prescritto il medico, i nostri comportamenti sono basati su di essa.
La fiducia è quindi una necessità del nostro vivere sociale. Ma c’è molto di più: la fiducia ci fa stare bene. Secondo alcuni (Paul J. Zak, Trust Factor, 2017) esiste una particolare molecola prodotta dal sangue e dal cervello, l’ossitocina, che il corpo produce se sta vivendo una sensazione di fiducia: essa migliora l’umore, induce una sensazione di benessere, promuove le interazioni sociali, riduce ansia, stress e dolore.
Nella lingua italiana è definita “fiducia” quella sensazione (o quel sentimento) di sicurezza e tranquillità, e quindi di benessere, derivante dall’aspettativa positiva di fatti o circostanze o comportamenti di persone che agiscono fuori dal nostro controllo (Enc. Treccani, voce Fiducia).
Nel nostro patrimonio culturale, Dante (Paradiso, Canto XXII, vv. 55-57), a proposito della fiducia, ci regala l’immagine della totale apertura della rosa al sole: “così m’ha dilatata mia fidanza,/come ‘l sol fa la rosa quando aperta/tanto divien quant’ell’ha di possanza.”
Secondo la più diffusa definizione di uso volgare (Wikipedia, voce Trust) consisterebbe nella disponibilità (willingness) di un primo soggetto di manifestarsi vulnerabile (to become vulnerable) ad un secondo soggetto, sul presupposto che il secondo agirà in modo per cui il primo ne trarrà beneficio, pur non avendo il primo alcun controllo sulle azioni del secondo.
La fiducia richiede un’interazione – da parte del soggetto agente- con elementi che si trovano al di fuori di sé e, nei rapporti sociali, con l’altro; è quindi il risultato di un processo bidirezionale in parte istintivo, in parte razionale, in parte emotivo.
La fiducia presuppone la capacità del soggetto pensante di generare un’aspettativa: solo se il soggetto ha l’aspettativa di un evento futuro, può immaginarlo positivo e benefico e può generarsi la fiducia; la fiducia richiede dunque una forma di proiezione della mente del soggetto pensante di un sé nel futuro.
La fiducia tra esseri umani è basata su tre condizioni di processo; l’assenza di una sola delle tre fa sì che non si concretizzi o svanisca.
La prima, e la più sfuggente da descrivere, è quella sensazione positiva che il soggetto può avere istintivamente, di fronte ad un altro individuo. Si tratta di un processo irrazionale di identificazione, studiata per alcuni suoi aspetti significativi anche dalla teoria dei cosiddetti “neuroni specchio”: sembra che il soggetto pensante ricerchi istintivamente nel suo interlocutore una affinità e cerchi di assimilarsi ai tratti somatici ed ai comportamenti dell’interlocutore medesimo (il fenomeno è definito tecnicamente “convergenza”, cfr. Mukherjee et al., The neural oscillatory markers of phonetic convergence during verbal interaction, 2019).
L’identificazione nell’interlocutore è un istinto innato nell’essere umano; è quel riconoscere istintivamente l’umanità, i profili più profondi dell’Uomo che si trovano nell’altro, al di là di tutte le maschere con cui si presenta formalmente, perché sono gli stessi che ci sono comuni in quanto esseri umani. Questo riconoscimento genera benessere.
Secondo alcuni psicologi questa irrazionale sensazione di benessere è condivisa sia del soggetto agente che dell’interlocutore e il grado di intensità con cui si manifesta dipende dalla capacità di impersonare sé stessi senza sovrastrutture; in una parola, di essere autentici.
Siamo fiduciosi, quindi, prima di tutto perché abbiamo intuito l’umanità affine dell’interlocutore. Non possiamo fidarci se il nostro interlocutore ci è istintivamente alieno.
La seconda condizione necessaria a creare la fiducia è la verifica della logica nei comportamenti; logica intesa in uno dei suoi significati figurati come quella qualità di prevedere comportamenti ripetuti in una persona, come effetto di comportamenti anteriori. La fiducia richiede che ad una stessa causa corrisponda sempre lo stesso prevedibile effetto.
Nell’analisi di questo requisito, è fondamentale l’aspettativa (l’attività della mente giudicante in termini prognostici): il soggetto ha fiducia perché, valutando un evento o un comportamento, è certo che dallo stesso originerà un altro comportamento previsto o prevedibile.
Non si può aver fiducia di soggetti che alla stessa causa o stimolo reagiscono con comportamenti di volta in volta diversi e imprevedibili.
La terza condizione è l’empatia. L’empatia è definita come capacità di identificarsi con gli stati d’animo di una persona (Diz. De Mauro, voce Empatia) o, più esattamente, di sentire ciò che prova l’altro e comprenderne i processi psichici (Enc. Treccani, voce Empatia); nel senso comune è quella capacità di immedesimazione nei processi mentali ed emozionali dell’altro che permette di valutarne compiutamente i comportamenti.
La percezione di una partecipazione personale e della capacità di comprensione tipica di un atteggiamento empatico provoca la nascita del fenomeno fiduciario.
Non si può avere fiducia di un soggetto che non mostra partecipazione. Non ci si può fidare quando non ci si sente considerati.
Se quindi, nello studio Terrin & Associati, è il processo istintivo di identificazione che ci ha portati a condividere l’avventura professionale, la creazione del rapporto di fiducia che ci lega è frutto anche della coerenza logica dei nostri comportamenti e dell’empatia che abbiamo dimostrato di saper provare.
Questo valore ci piace vederlo simbolicamente rappresentato nella “&” che caratterizza il nuovo logotipo dello studio Terrin & Associati; una “&” inclusiva, razionale e partecipativa, rappresentativa appunto della fiducia su cui si basano i nostri rapporti interni e verso l’esterno.
Noi crediamo che il rapporto professionale debba essere saldamente basato, sia all’interno che all’esterno, sulla fiducia. Per questo, a coloro che entrano in relazione con noi, vogliamo mandare questo messaggio: concedeteci la vostra fiducia; ne sapremo fare buon uso.
Silvio Rizzini Bisinelli
avvocato
managing partner